25 luglio - Il racconto di Fabrizio Lavezzato è di quelli da non perdere perché ci porta dentro una gara speciale. A voi: L’Ultramaratona del Gran Sasso d’Italia, gara sulla distanza di 50km che ha come epicentro il piccolo comune di Santo Stefano di Sessanio (L’Aquila), si snoda lungo un anello meraviglioso che attraversa anche il piccolo borgo di Calascio e trova il suo epicentro lungo la piana di Campo Imperatore, luogo reso celebre, tra l’altro, dal film “Lo Chiamavano Trinità”, vero cult della cinematografia italiana. La prima partecipazione alla gara risale al 2019; cancellata l’edizione del 2020 a causa della pandemia, decidiamo con Ilaria di iscriverci nuovamente quest’anno, memori delle emozioni vissute. L’arrivo a Santo Stefano è nel tardo pomeriggio di sabato. Troviamo subito Franco Schiazza, organizzatore dell’evento, che ci accoglie in maniera impeccabile e ci conduce a cena con l’amica Federica Moroni, altri atleti e persone del posto. Un clima rilassato e cordiale che ci avvicina nel modo migliore ad una gara che sappiamo essere durissima. Alle 8.30 della domenica lo start, come da programma. Il livello è molto alto: tra gli uomini c’è Alberico Di Cecco, che ha vinto 3 delle 4 edizioni, poi i giovani bolognesi Bovanini e Vanetti e molti altri. La gara femminile sembra quasi un campionato italiano di ultramaratona, con Federica Moroni, Francesca Bravi, Elisa Benvenuti, naturalmente Ilaria ma anche tante altre. Subito dopo la partenza, c’è la fuga di Di Cecco con Bovanini, Vanetti e Pecora, mentre tra le donne è partenza sprint della coppia Moroni-Bravi. Con Ilaria prendiamo il nostro passo, forse fin troppo veloce, correndo i primi km in falso piano a scendere tra 4.00 e 4.10 di media e posizionandoci ad occhio intorno alla 20esima-25esima posizione. I primi km scivolano via veloci, senza problemi, dal 7° al 9° la strada sale, per poi ridiscendere per un paio di km. Iniziamo a superare qualche atleta, tra cui Gaetano Vitale, che nel 2019 aveva corso in 3h59, mentre noi avevamo corso in 4h02 circa Ilaria 4h05’ circa io. Il segnale può essere indice di due situazioni: o stiamo bene, oppure stiamo osando troppo. Dall’11°km la strada inizia a salire e sarà così per i successivi 12-13km. Ad ogni ristoro beviamo molto, c’è fatica ma si procede bene, la Moroni e la Bravi sono davanti, visibili ad occhio ma piuttosto lontane. Il loro ritmo sembra onestamente impossibile da sostenere almeno oggi. Procediamo con passo costante. Io faccio della regolarità il mio punto di forza ed Ilaria ne tiene conto soprattutto nelle prime fasi delle gare, dove tende a volte a partire forte. Saliamo fino al 16°km superando ancora altri atleti. A quel punto sento Ilaria dire qualcosa, mi volto e vedo che ha rallentato: è un attimo di crisi. Nelle gare lunghe non è sempre tutto bello, anzi, le crisi sono dietro l’angolo e la forza sta nel saperle gestire e superare. Rallentiamo un attimo, parliamo e riprendiamo progressivamente: Ilaria è una campionessa, per abbatterla ci vuole altro. “Ho bisogno di un po’ di discesa” mi dice verso il 18°km, “stai serena che adesso arriva”, rispondo ben sapendo che di lì a 2km sarebbe finito quel tratto davvero impegnativo. Si scende, Ilaria sta bene, corriamo con un buon passo, superiamo il check point di metà gara in 1h53’ circa, mi sembra un tempo pazzesco: “bisogna stare attenti perché manca ancora tanto” le dico; “si, si, non esageriamo” mi risponde. E meno male che non abbiamo esagerato perché appena arrivati nella piana di campo Imperatore ci troviamo a dover affrontare un vento contrario pazzesco. In certi tratti siamo praticamente fermi. Ho un attimo di sbandamento dal punto di vista mentale, mi vien paura di non farcela, io soffro il vento in maniera allucinante “Ilaria io mi ritiro” dico d’istinto “Smettila che mandano 10km” mi risponde. Allora come spesso accade nelle gare o nei nostri allenamenti sbotto “Ma che cazzo dici, siamo al 28esimo ne mancano ancora 22 altro che 10!” e lei come s niente fosse “Si ma gli ultimi 10 non contano perché sono in discesa”, “Il giorno che t’ho incontrata avrei dovuto cambiar strada” chioso io e la chiudiamo lì. Di solito un battibecco ad allenamento o gara vien fuori: è ormai una situazione quasi collaudata che aiuta a superare i momenti difficili. Per 10km fino al 38esimo è un discreto calvario, le gambe andrebbero anche ma il vento ci devasta. Al km 38 superiamo Matteo Zucchini, che viene da un infortunio, ma qui al Gran Sasso è arrivato già 3° e 4° in diverse occasioni. Capisco che stiamo andando bene, molto bene. Attacchiamo l’ascesa che porta al km 39, è l’ultima, 3 tornanti impegnativi, con le bici che ci passano di fianco e ci incoraggiano. La Moroni e la Bravi sono troppo avanti, impossibile rimontarle, ma il crono che stiamo facendo è ottimo, bisogna dare tutto. In discesa Ilaria va fortissimo, io fatico ma riesco a starle al passo. Al km 44 c’è l’ultimo strappo di salita, ma non ci fa più paura, perché sappiamo che gli ultimi 6 sono in discesa, quindi “non contano” come sostiene Ilaria. Proprio in questo momento incrociamo in bici in senso contrario un ciclista che ci dice “siete in decima e undicesima posizione”. Quella frase risuona alle mie orecchie come la pozione magica di Asterix: “e quando mi ricapita” peso. Pesco le ultime energie rimaste Ilaria fa lo stesso e ci buttiamo nell’ultima discesa più forte che possiamo. L’arrivo è meraviglioso perché girando i tornanti vediamo la torre di Santo Stefano sempre più vicina. Dietro di noi c’è un atleta attardato di una ventina di secondi, sta correndo forte, diamo tutto quello che abbiamo, non ci prende più. Arriviamo al traguardo, Ilaria decima assoluta e terza donna, io undicesimo e primo M45. Una soddisfazione talmente inattesa che nemmeno avevo portato la canotta di rappresentanza che uso nelle premiazioni. Arrivederci Gran Sasso, ritorneremo! La Corsa è eterna finché dura. W la Corsa
Fabrizio Lavezzato