Cantalupo Ligure, Porte di Pietra 2018. È dal 2006 che sento parlare della gara. Ho pensato di provarci, in ogni edizione, da quando ho cominciato a correre e frequentare i Trail da apprendista. Mi è sempre mancato il coraggio. Troppo lunga (72Km), troppo irta (4.000 mt di dislivello positivo), troppe ore sulle gambe. Quest’anno l’ho fatta, anche aiutato dagli allenamenti e dall’entusiasmo del gruppo riunito sotto la paziente guida di Andreino Boggeri. Una bella fatica, certo, ma chiuderla in 14 ore e venti mi è andata bene assai. Il tempo limite era 17 ore ed il terreno, per lunghissimi tratti, quasi impraticabile. Sono state Porte di Pietra e di Fango. I partecipanti alle quattro gare in programma (con più di seicento iscritti) non si dimenticheranno presto la saponaia nella quale siamo rimasti impiastricciati per tutto il percorso. Diamo però un ordine alla corrente dei ricordi freschi di giornata. Per essere puntuali allo start delle 7 (e pur dormendo al paese in Valle) occorreva alzarsi presto. Sono lento e metodico, al mattino i miei riti cominciano all’alba. Appuntamento con Paolo sotto l’esplosione dei grappoli di fiori d’acacia che biancheggiano nel cortile. Quest’anno gli alberi ne sono così carichi che i rami si piegano al suolo, la festa delle api. Dopo il breve briefing ed il conto alla rovescia partiamo per il prologo collinare di cinque chilometri. Attenzione a non farsi trascinare dalla forza dei primi e dall’entusiasmo collettivo. Si rischia di arrivare già stanchi al ponte che attraversando il Borbera introduce alla mitica salita alla Croce degli Alpini. Cominciamo ad assaggiare il fango e l’alta erba maggese fradicia ed odorosa. Il sentiero in discesa, calpestato dai primi, sembra una pista di bob di lucido ghiaccio verde. Oltre il torrente attacchiamo in serrata fila indiana il sentiero ripidissimo. Alcuni tratti sono dotati di corde e catene. Ci vorrà più di un’ora per fare il chilometro e poco più che porta alla croce. Per ora il tempo è bello ma in partenza ci hanno detto che la giornata virerà verso piogge e forse temporali. A guardare il cielo, ora, sembra improbabile. Discesa nella valletta che porta alla pietrosa carrareccia verso Roccaforte. Primo cancello, ci stiamo comodi. Siamo in gruppo di quattro, due Paoli e due Roberti. Età e percorsi diversi ma la voglia di rendere omaggio alla Valle, alla quale tutti apparteniamo, vivendola da dentro, nella fatica della corsa. Proseguiamo, dopo Bric delle Camere ed il borgo da presepe di Caprieto arriviamo al secondo check point. Siamo a Costa Salata. Il bello viene ora. Affrontiamo il salitone nel bosco ed il fango nei tratti bassi ed in ombra. Siamo alla chiesetta di San Fermo. Ci è venuto incontro l’amico Elio, un angelo che ci rifornisce generosamente di focaccia e Coca Cola. Ripartiamo verso il monte Buio con la preoccupazione dei temporali che ormai in effetti si fanno sentire forti e chiari tutto intorno. Il cielo di un tono grigio plumbeo e l’aria pesante non tranquillizzano. I tuoni si susseguono, per ora lontani. Saliamo, dopo la vetta il sentiero attraversa un prato punteggiato di narcisi. Sono centinaia. Consigliati da Elio allunghiamo il passo, penserà lui a fare da staffetta con i due Paoli dietro. Verso l’Antola il cammino è reso difficoltoso dal fango scivoloso ed onnipresente. Roberto cerca passi alternativi zigzagando fuori dal battuto, io scivolo incessantemente perdendo efficacia nella spinta verso l’alto. Eccoci in cima, pioviggina lievemente. I paesini intorno, da basso, disegnano circolini di rosso dei tetti nel mare verde del bosco appenninico. Nel prato in ripida discesa, direzione Casa del Romano, la confidenza mi tradisce, cado per la prima volta. Niente di che, rassicuro Robi, solo l’amaro della vergogna che tinge il palato. Attraversiamo veloci i boschetti punteggiati di maggiociondolo, verso Torriglia serpeggia il Brugneto oggi livido come il cielo. Doppiamo Caprile, incassato ai nostri piedi. Siamo nel cancello delle Capanne di Carrega. Il maltempo continua a circondarci divertendosi a minacciarci senza affondare il colpo. Saliamo al Carmo in ripida pendenza, il bosco, fitto di faggi, si interrompe d’improvviso lasciando spazio al pascolo. Gli alberi fronteggiano la cima schierati in una immobile, rispettosa teoria circolare. Oltre ancora una ripidissima discesa con gli occhi aperti sul fondo viscidissimo. Saliamo al Legnà, ci lasciamo alle spalle la visione del mare lontano e delle pennellate di vapore che sovrastano le vallette del versante ligure. Il temporale continua ad imperversare alle nostre spalle. Arriviamo al cancello delle Capanne di Cosola con il gruppo degli amici che stanno facendo la cento. Lele, Pasquale e Daniele hanno sulle gambe undici ore di corsa più di noi. Il rispetto e l’ammirazione tra chi corre si pesa sul piatto della fatica. Chapeau. Ci riforniamo per l’ennesima volta. Saliamo al Chiappo, in una delle infinite discese erbose tra le vette cado per la seconda volta. Il fango punisce ancora un appoggio malfermo. La botta è un poco più secca della precedente. Non esistono battaglie senza segni. Conquistiamo anche il salitone all’Ebro, ancora una croce e lapidi in memoria di appassionati del passato. Scendiamo al rifugio Orsi, immerso nel bosco, strategicamente adagiato fra tre vette. Ultima caduta. La aspettavo, questa volta le foglie madide attutiscono gli effetti. Di qui all’arrivo la quantità di fango diventerà imbarazzante. Quasi impossibile correre in discesa, si scivola in salita, indietreggiando, il piano da questa parti è piuttosto una speculazione intellettuale. Si risale al monte Giarolo, con le sue antenne e parabole è quello che anche i profani, dal basso, riconoscono al volo. Dalla vetta, si scende verso i Piani di San Lorenzo, ultimo cancello prima dell’arrivo. Nella strada che attraversa il bosco le pozze d’acqua delle recenti piogge sono enormi laghi senza zattere. Zampettiamo alla meglio ossessionati dalla vana ricerca di itinerari alternativi sulle sponde. Ultimo controllo e pochi chilometri verso l’arrivo. Ci aspetta una discesa lunga e complicata da interpretare. Avvistiamo il Borbera quando sui monti genovesi rosseggia il tramonto. La strada continua a curvare e sembra non finire mai. I muri di ginestra delimitano strettissimi passaggi scavati nella terra argillosa. Il monumento a Fiodor, ricordo della grande Storia che si è fatta sentire anche qui, ci accoglie. Ultimo chilometro, è quasi buio. Arriviamo sul tappeto rosso e finalmente il traguardo. Andreino sta aspettando il gruppo. Ci saluta e ci incita. Lui è arrivato cinquantesimo assoluto nella Cento in 22 ore e cinquanta. Tempo limite ventotto ore. Occorre dire di più?